Al cuor non si comanda – parte 1
Eh no, niente storie romantiche o strappalacrime, sto parlando del cuore inteso come organo del nostro corpo. Che poi forse un po’ di romanticismo c’è, perché alla fin fine un pò di amore per questa mia particolarità è nato, in quanto mi ha permesso di diventare chi sono oggi e di sviluppare una grande resilienza. Ah giusto, mi sono sempre rifiutata di considerare la mia aritmia un problema perché l’ ho sempre vista come una particolarità più che come un ostacolo: un qualcosa di diverso non deve essere per forza un qualcosa di sbagliato, come la parola problema potrebbe indicare, ma semplicemente un qualcosa che la vita ti impone di affrontare per aiutarti a sviluppare caratteristiche caratteriali che un domani ti serviranno.
Nel novembre del 1996 mia madre mi prese in braccio e si rese conto che il mio cuore batteva veramente troppo forte. Dopo varie visite si definì che avevo una tachicardia parossistica sovra-ventricolare. Cos’è? Niente di grave in effetti, qualche anno di farmaci anti-aritmici, tanti holter ed elettrocardiogrammi e niente sport di resistenza. Certo, per una che si fa venire in testa che vuole fare dei trekking di più giorni, arrampicare e un corso di sub non è proprio il massimo ma tutto sommato per diversi anni me la sono passata piuttosto bene. In fondo avevano detto che nella maggior parte dei casi in adolescenza è un problema che scompare da solo quindi quasi quasi non ci si pensava più.
Ad essere onesti, qualche svenimento qua e là lo avevo avuto, sempre per non far mai rilassare troppo i miei genitori. In particolare ci sono due aneddoti che ad oggi ricordiamo sorridendo con la mia famiglia. Il primo riguarda un episodio avvenuto quando avevo 10 anni. Stavo giocando in camera e ho sbattuto il mignolo contro il piede del letto…ovviamente un male cane! Mi ripresi in fretta grazie alla giovane età e andai a mangiare: per cena quella sera una bella caprese, ben condita con olio e sale. Ovviamente, se devi svenire, il momento migliore è sicuramente appena seduta, con il tuo bel piatto davanti pronto ad accogliere il tuo bel facciotto!
Un altro episodio che io ricordo ridendo, mio fratello un po’ meno, avvenne nel 2009, durante un viaggio in Florida. Eravamo alle Everglades, nel Sud della Florida, in pieno Agosto e vi lascio immaginare il caldo e l’umidità presenti. Il problema è che questi americani non hanno capito che non è normale mettersi il golfino quando entri in un negozio e avere uno sbalzo di 20° tra gli ambienti esterni e quelli interni. Benissimo, entrammo in un hotel, mia madre si stava impegnando tanto a capire l’americano stretto della tipa alla reception… momento di totale concentrazione insomma. E io lì dietro iniziai a dire con mio fratello “Enry, non vedo niente, Enry non vedo niente“. Lui spaventatissimo corse a chiamare mia madre, la quale ci disse bellamente di stare zitti e quindi, da buona esibizionista, collassai per terra come una pera cotta. Ah, credo che i cinque minuti seguenti conteggino per i miei quindici minuti di gloria nella vita in quanto avevo mezzo hotel intorno (scherzo, ero imbarazzatissima!). Morale, non entrate in un albergo in Florida dopo mangiato altrimenti rischiate di saltare la gita in barca alle Everglades perché siete reclusi in camera a causa di uno svenimento!
Insomma, un’ infanzia tutto sommato abbastanza tranquilla tranne qualche aneddoto, forse addirittura divertente a ripensarci. Poi un bel giorno, precisamente qualche ora prima del cenone per l’ultimo dell’anno del 2012, mi sono sentita poco bene. Era come se il mio corpo non avesse più forza, stavo seduta sul divano e avevo il fiatone. Prova del polso e risolto l’arcano mistero: aritmie! Dopo un’ ora che cercavamo di calmarle attraverso tecniche insegnate ai miei genitori negli anni dai dottori in caso di emergenza, decidemmo di andare al pronto soccorso. Alla fine niente in tutto, arrivati là il mio cuoricino si era quasi del tutto calmato e mi hanno dimesso dodici minuti prima della mezzanotte, momento nel quale abbiamo brindato con un calice immaginario in centro a Bologna con mio padre. Tutt’ora uno dei brindisi più belli. Ci consolammo dicendo che l’anno nuovo iniziava con l’uscita dall’ospedale e non con l’entrata quindi secondo noi era un buon auspicio… no gente, se l’ultimo dell’anno finisci in ospedale, sappiate che ci sono buone probabilità che l’anno che verrà sarà un anno di merda.
One thought on “Al cuor non si comanda – parte 1”
Ciao Eri! In effetti hai ragione: etimologicamente “problema” non ha un significato del tutto negativo… Il greco πρόβλημα é un composto di πρό + βάλλω (“gettare davanti”), e realizza due valori di base: o indica qualcosa buttato in avanti, sia come ostacolo che come difesa, o, soprattutto nell’ambito della geometria antica, identifica un quesito postoci di fronte -appunto- affinché se ne possa trovare la soluzione.