Skip to content
Aritmiedivita
  • Home
  • Chi sono
  • Blog
  • Italiano
    • Italiano
    • English
  • Search Icon

Aritmiedivita

Al cuor non si comanda – parte 4

Al cuor non si comanda – parte 4

5 Gennaio 2021 Erika Comments 2 comments

Le parti precedenti potete leggerle qui:

1
2
3

Il 6 agosto 2017 mi ricoverarono. Una fatica che non vi dico a trovare il reparto, tant’è vero che per un paio di volte suonammo al citofono di quella che poi scoprimmo essere la sala operatoria. Alla fine, in maniera molto educata e paziente, venne una dottoressa a spiegarci che il reparto era al piano di sopra e, con mia grande sorpresa, mi chiese se fossi io Erika e mi disse che il giorno dopo ci sarebbe stata anche lei in sala operatoria con me. Pensai che fosse strano, come faceva a riconoscermi se non ci eravamo mai viste… poi mi fecero notare che, in effetti, quel tipo di intervento non era solitamente fatto a persone di 22 anni e che quindi se aveva letto l’elenco degli operati del giorno successivo mi aveva riconosciuta per forza. Avevo sempre vissuto tutta la faccenda come un qualcosa di normale, per me era la normalità quindi perché per gli altri doveva essere strano? Fu la prima volta che vidi la questione come qualcosa che, in effetti, agli occhi degli altri poteva apparire come un qualcosa di anomalo. Quel giorno lì passò in maniera molto tranquilla e mi trovai subito bene con la signora con la quale avrei condiviso la stanza per i successivi tre giorni: non so chi tra me e lei chiacchierasse di più!

Il giorno dopo era il grande giorno. Finalmente dopo tanto si sarebbe risolto tutto, nel giro di qualche giorno sarei stata bene e tutto sarebbe andato per il meglio. Ero la terza ad essere operata, quindi verso le 10 e mezza avrei dovuto scendere. La mia compagna di stanza era prima di me, lei era agitatissima, io invece quasi mi addormentavo. E in effetti, quando verso mezzogiorno mi portarono giù (un po’ di ritardi tecnici) mi ero davvero appisolata e quando fuori dalla sala i dottori mi chiesero come stavo dissi che ero molto tranquilla, ed era vero. Mi fidavo ciecamente di chi, per la prima volta, aveva dato nome e cognome alla mia particolarità qualche mese prima.

Portarono la barella dentro e mi fecero sdraiare su una brandina minuscola, coprendomi con questa sorta di sacco termico dove fecero un taglio all’altezza dell’inguine in modo che rimanesse scoperta solo la parte di corpo dove avrebbero dovuto fare entrare i cateteri. Faceva freddo. Poi misero una tendina tra loro e la mia faccia in modo che io non vedessi loro e loro non vedessero me. Poco male, mi sarei concentrata sul monitor che riportava il mio elettrocardiogramma. Per questo tipo di intervento, infatti, non è prevista l’anestesia totale perché potrebbe inibire la stimolazione delle aritmie e, di conseguenza, i dottori non riuscirebbero a capire da dove esse partono (e quindi dove intervenire).

L’intervento è diviso in due parti: per prima cosa vengono inseriti dei cateteri dalle vene presenti a livello inguinale e sono fatti salire fino ad arrivare all’interno del cuore. Da qui vengono mandati piccoli impulsi elettrici che stimolino l’aritmia in modo che i chirurgi capiscano qual è il punto di partenza del problema. Una volta capito ciò, tale punto viene cicatrizzato per bruciatura per mezzo dei cateteri e ciò conclude l’intervento. Il tempo stimato dall’entrata in sala operatoria all’uscita è circa un’ora e mezza.

Mi dissero di stare ferma che sarebbero partiti. Dissero anche che potevo sentire bruciare e di dire se avevo male.  La prima parte andò abbastanza bene. Avevo già fatto uno studio elettrofisiologico quindi ero preparata. Certo, quando avevano detto che non avrei sentito nulla mentivano, perché io sentivo ogni volta le piccole scosse dentro al petto, ma sapevo che dovevo sopportare, che era una cosa da fare e quindi mi ripetevo di stringere i denti. Era la parte più lunga capire da dove venisse l’aritmia, dopo tempo un paio di bruciature e via, sarebbe finito tutto molto in fretta. Intanto guardavo lo schermo e constatavo che, anche se io non sentivo nulla di particolare, l’elettrocardiogramma non riportava un battito normale, era veramente tutta un’aritmia. Chissà quante ne avevo avute allora! Non era difficile pensare che se il mio cuore batteva così ad una certa il mio fisico svenisse, era tutto un casino! Era abbastanza spaventoso pensarci lì sotto i ferri, ma tanto sarebbe finito tutto nel giro di poco tempo. Finito lo studio elettrofisiologico iniziarono a bruciare per cicatrizzare: porca vacca che male! Ma chi cavolo era stato che diceva che non si sentiva niente, sembrava di avere una fiamma nel petto! “Vabbè, tanto dura poco” continuavo a ripetermi. Però fatto sta che i dottori continuavano a provare a bruciare ma le aritmie sul monitor anziché fermarsi diventavano sempre più veloci e irregolari. Ho iniziato a preoccuparmi, tanto. Poi mi dissero che dovevano cambiare un catetere e usarne uno più grande. “Ah fate pure, non è che abbia molta scelta ormai” pensai. Però stavo facendo fatica, non sapevo da quanto ero lì ma tra le scariche elettriche, le bruciature e ora sfila e rinfila un catetere sentivo che il mio corpo era provata e iniziavo a vedere tutto abbastanza sfuocato. Poi hanno ricominciato a bruciare utilizzando il catetere più grande e lì ho patito il male più grande che io abbia mai provato. Non avevo più forza quindi riuscii solo a sussurrare: “Ho male“. Probabilmente erano abituati a gente che si lamenta per niente perché mi dissero “Tranquilla, ancora poco e abbiamo finito” ma quando io dico che ho male, ho male sul serio.

E infatti quando riprovarono a bruciare, improvvisamente la linea pazza che indicava il mio battito cardiaco divenne piatta. No, non credo sia stato abbastanza lungo da considerarlo un arresto cardiaco ma era la chiara risposta che il mio corpicino di 50 kg stava dicendo: “Oh belli, non ne posso più“. Ricordo che iniziarono ad urlare di fermare tutto, mi chiesero come stavo e io risposi che ero stanca e chiesi un fazzoletto bagnato in fronte e sugli occhi. Mi sentivo la testa caldissima ma sapevo che non poteva mancare tanto e il fazzoletto sulla fronte è il mio modo di calmarmi e riprendermi un attimo. La dottoressa del giorno prima, Silvia si chiamava, fu dolcissima. Era l’anestesista che mi dava i sedativi ed era sempre stata di fianco a me, ma si avvicinò ancora di più al mio viso. Mi sussurrò che ero bravissima, che dovevo stare tranquilla e intanto mi accarezzava il volto. Sentivo le lacrime rigarmi le guance. Mi chiesero quando potevano ricominciare. Strinsi i pugni e dissi che potevano ripartire. Poi iniziai a cantare delle canzoni nella mia testa, girandomi dalla parte opposta rispetto al monitor. Dovevo reggere ma ero stremata e spaventatissima; decisi di concentrarmi su altro. Per aiutare il mio fisico a reggere, i dottori procedettero con bruciature più corte (30 secondi anziché 60). Poco dopo mi dissero che avrebbero fatto l’ultimo tentativo, a prescindere da come sarebbe andato sarebbe stato l’ultimo, ma che dovevo stare fermissima: avevano il timore che il punto critico fosse alla giunzione con una vena e quindi dovevo stare ferma perché se sbagliavano e bruciavano la vena era un casino. “Ora sì che sono tranquilla, grazie“. Lo fecero e siccome sono qui a raccontarlo non si sbagliarono e bruciarono il pezzo giusto. Ricordo che mi girai a guardare il monitor mentre bruciavano quel punto; avevo tenuto il conto ed era, in totale, l’ottavo punto in cui provavano a bruciare. Era un macello, ma poi, d’improvviso apparvero tante piccole cunette regolari: avevo un ritmo normale! Niente più roba strana, niente più suoni o figure strane, era tutto perfetto, esattamente come doveva essere. Tante piccole montagne regolari, una dopo l’altra. Il chirurgo sfilò il catetere e scappò via, io rimasi con i tecnici e con Silvia. Le chiesi se fosse andato tutto bene, mi disse di sì. Mi fecero salire dalla brandina al lettino ma quando mi feci forza per alzarmi, il braccio cedette e io ricaddi sul lettino. Mi dovettero spostare di peso, il mio corpicino non ne poteva più, era stato fin troppo bravo, ma ora aveva esaurito tutto. Poi anche la vista di quanto sangue avevo perso non fu carina: un taglio nell’inguine, cosa vuoi che sia… ero abbastanza ingenua, ma forse è andata bene così. Lasciai la sala operatoria alle 15 circa, dopo tre ore dalla mia entrata.

Mi portarono su e chi mi accompagnava, meglio definiti dalle infermiere come i miei fans, poiché era un’ora che continuamente chiedevano di me, mi corsero incontro. Mi dispiace ancora per come li trattai, ma non ne potevo più. Mio padre quando è agitato continua a parlare, io non volevo sentire nulla. Entrai in camera, feci tirare la tenda e con le poche forze che mi erano rimaste scoppiai a piangere. Un pianto liberatorio, emozionato, fragile e forte allo stesso tempo. Mi resi poi conto che agli occhi di chi era lì non sembrò però un pianto di sollievo, ma piuttosto di tristezza e lessi la preoccupazione dei miei genitori quando venne Silvia a vedere come stavo e a dirci che il chirurgo sarebbe venuto a parlarci. Con la mia compagna di letto non era venuto nessuno, e quindi sì, suppongo fosse lecito il pensiero che qualcosa fosse andato storto, anche se io avevo riferito che era andato tutto bene. Due ore dopo arrivò il chirurgo che in realtà voleva solo assicurarsi che stessi bene e spiegarci in cosa consisteva la mia particolarità, che era una cosa rara e, per chi se ne intende, estremamente interessante. In pratica, un punto cruciale del nostro cuore è il nodo seno atriale, dove l’impulso elettrico passa dalla parte superiore del cuore a quella inferiore. Essendo un punto fondamentale per la vita, quando siamo dentro la pancia della mamma si sviluppano diversi “tubicini” che possono far passare questo impulso, poi prima di nascere si chiudono tutti tranne il principale. Ecco, io ne avevo uno in più aperto e quindi l’impulso elettrico passava da sopra a sotto, nel mio caso una parte tornava indietro. Come termine di paragone utilizzarono un’orbita: avevo un pezzo di cuore che era tipo un’orbita. Alla fine, era tutto sommato una particolarità carina, il mio cuoricino era solo un po’ più sicuro degli altri.

Quel pomeriggio vennero tantissime volte a visitarmi e a vedere come stavo, furono carinissimi e mi sentii veramente molto coccolata. La mattina dopo stavo decisamente meglio, venne anche il chirurgo che mi chiese quanti anni avevo e alla mia risposta (22) mi ricordo perfettamente che mi accarezzò il braccio sorridendo e mi disse “Sei stata brava“. Gli chiesi perché avevo patito tanto male rispetto a quello che avevano detto e mi disse che se sono 50 kg e ho un petto pelle e ossa era inevitabile che sentissi male. In pratica più ciccia hai, meno male senti. Potevano avvisarmi prima che ne parlavo con la nonna e rimediavamo di certo.

Uscii dall’ospedale l’8 agosto, zoppicando un po’ perché avevo male all’inguine. Qualche giorno di riposo che si rimarginasse la ferita all’inguine e poi come nuova, avevano detto. C’era però una cosa che non era stata considerata in questa dichiarazione: io non avevo mai avuto un ritmo cardiaco normale.


Un fisico bestiale

Post navigation

PREVIOUS
Il melograno
NEXT
Al cuor non si comanda – parte 5

2 thoughts on “Al cuor non si comanda – parte 4”

  1. Francesco Belli ha detto:
    5 Gennaio 2021 alle 23:41

    Ho letto questo articolo tutto d’un fiato come fosse il capitolo centrale di un romanzo ben scritto. Poi a metà articolo mi sono ricordato che l’io narrante è una persona con cui ho condiviso tre anni magnifici e intensi durante una laurea che già di per sé porta molto stress.
    Mai avrei immaginato che dietro ad un volto sempre sorridente e ad una persona sempre pronta ad aiutarci ci fosse un’esperienza che nessuno può immaginare se non avendola vissuta in prima persona. Non posso che congratularmi per la forza che sei riuscita a trovare in questa situazione e per come sei riuscita a gestire tutto. Un esempio chiaro che la determinazione è una qualità che nasce e si corrobora nei momenti imprevisti e/o difficili.
    Ed ora in attesa del prossimo articolo!

    Rispondi
    1. Erika ha detto:
      6 Gennaio 2021 alle 10:34

      Grazie mille delle belle parole, che mi hanno anche un po’ commosso non lo nascondo. Fanno sempre tanto piacere. A presto!

      Rispondi

Lascia un commento Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Captcha loading...

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Categorie

  • Incontri
  • Un fisico bestiale
  • Un sogno grande da qui alle stelle
  • Viaggi

Articoli recenti

  • Al cuor non si comanda – parte 5
  • Al cuor non si comanda – parte 4
  • Il melograno

Benvenuti sul mio blog!

I miei mantra

  • “Sembra sempre impossibile, finché non viene fatto”  (N. Mandela)
  • “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”  (Gandhi)
  • “Trasforma la tristezza in energia per realizzare i tuoi sogni”  (Un amico in un momento nero)

Info

  • Contatti
  • Instagram
© 2021   All Rights Reserved.